martedì 13 dicembre 2016

Premio Tiberini 25^ ed.

San Lorenzo in Campo (PU) – Teatro Tiberini



Premio Lirico Internazionale 

Mario Tiberini, 

25^ edizione.


(26 novembre 2016)


FRANCESCA PATANÈ 

E MARCO CHINGARI,

COPPIA D’ORO 

PER UN “TIBERINI D’ORO”.





L’inossidabile Giosetta Guerra, ideatrice, musa e vestale del “Tiberini d’oro”, replica l’edizione autunnale al “tartufo bianco” rientrando – dopo la tappa pesarese dello scorso anno - nella sua sede storica, il delizioso teatro di San Lorenzo in Campo intitolato al “superbo” Tiberini. E va da sé che giocare in casa giova all’iniziativa e alla sua entusiasta organizzatrice, perché è proprio quel teatro e solo quel teatro la sede più appropriata per ogni edizione del “Premio”, costituendone il luogo di nascita e la sua ricca e gloriosa memoria storica.



Quest’anno il “Tiberini d’oro” è andato a una coppia di artisti che sono anche compagni nella vita da oltre vent’anni: il soprano Francesca Patanè e il baritono Marco Chingari, i quali hanno dato luogo a un vero e proprio spettacolo, ricco, avvincente, ben articolato, vario.
Siamo passati dalle arie d’opera (come era ovvio) all’operetta, alle canzoni, al musical, alle poesie di Trilussa, con Marco Chingari artista a tutto tondo, cantante, attore e presentatore di grande presa e simpatia che faceva il paio con Giosetta Guerra nel commentare, introdurre, intrattenere un pubblico molto raccolto, selezionato e giustamente entusiasta.
Spettacolo riuscitissimo, divertente, alla portata di tutti, ma allo stesso tempo con lampi di luce anche per i palati più raffinati. In definitiva, una serata memorabile.
Erano molti anni che non assistevo a una performance di Francesca Patanè e, quantunque consapevole che si tratta di un’artista con la “A” maiuscola e di una cantante dotata di una tecnica di prim’ordine, confesso che nutrivo qualche piccola apprensione sulle sue attuali condizioni, stante il repertorio drammatico che ella frequenta dagli inizi della sua carriera: volendo restare in regione, la ricordiamo quale superba Turandot e conturbante Tosca alla Corte Malatestiana di Fano a metà anni Novanta, quindi ancora Turandot e Abigaille nel verdiano Nabucco allo Sferisterio di Macerata e, soprattutto, Lady Macbeth di livello storico al “Ventidio Basso” di Ascoli Piceno.

Ebbene ogni mia apprensione è stata spazzata via fin dalla prima aria, l’Habanera da Carmen di Bizet, 
eseguita con classe estrema, perfetta pronuncia francese, senza mai scendere a compromessi col buon gusto con vezzi gratuiti di puro effetto, con una presenza scenica che catturava l’uditorio (la Patané è sempre bellissima). 

Ha fatto seguito “Voi lo sapete, o mamma” da Cavalleria Rusticana, una Santuzza dolente, tragica, disperata, mai sopra le righe, egregiamente cantata e interpretata con grande sentimento, con una ricchezza dinamica che si è confermata nel corso dell’intera serata. Punta di diamante della prima parte è stata la scena finale della Manon Lescaut di Puccini, “Sola, perduta, abbandonata”, eseguita con una sensibilità e un trasporto talmente convincenti da commuovere la stessa artista, oltre che il pubblico.
Oggi Francesca Patanè è – anzi, continua a essere – il miglior soprano drammatico del mondo, e sarebbe un discorso lungo e anche poco lusinghiero per i direttori artistici italiani se dovessimo intrattenerci sulle ragioni che la vedono – inspiegabilmente, ma forse fin troppo spiegabilmente… - lontana dai nostri palcoscenici. Ella, peraltro, non è solo un “drammatico” di altissimo rango e di grande potenza vocale ed emotiva, è anche una vocalista conclamata, basti ricordare un Summertime che è stata una perla, per musicalità (grande prerogativa, questa, della poliglotta artista figlia del grandissimo Giuseppe Patané e nipote dell’altrettanto glorioso Franco), per la capacità di raccogliere la voce, impostandola su piani e pianissimi sempre fermi, ben tenuti e ottimamente impostati. Per non parlare, poi, del rossiniano “Duetto dei gatti” in cui la Patanè si è rivelata in tutta la sua ironica sensualità, alternando i propri allusivi “miagolii” con quelli della sua  giovane allieva, il soprano Giulia Pelizzo (che si era esibita, poco prima, con sensibilità e grazia, in un commosso “Pace, mio Dio”, da quell’opera…..che, per “Forza”, non si può certo nominare!).
È chiaro che Francesca Patané metterebbe in ombra chiunque, ma Marco Chingari ha dalla sua delle carte non buone, ma ottime. Grande artista della scena, Chingari sa sempre ciò che sta cantando e pertanto, prima ancora di attaccare, bastano un suo sguardo sul pubblico o nel vuoto, la sua postura per portarti nel clima del personaggio, nella sua psicologia, in breve nella vicenda teatrale e soprattutto umana di un sinistro Barnaba (“O monumento” da Gioconda di Ponchielli) o di un Renato (“Eri tu” da Un ballo in maschera di Verdi) devastato dalla gelosia e dai rimpianti.



Sul piano squisitamente vocale Marco Chingari conserva una meravigliosa zona centro-grave, un legato d’altri tempi e, in sostanza, una vera voce di baritono, densa e di colore bellissimo, con una dizione e un fraseggio degni dell'antica “scuola romana” di cui egli è degna espressione. La sua è una voce che gli permette di affrontare in modo convincente anche l’aria, assai rognosa, di Escamillo (Carmen) senza arrivare sfiatato e incolore nella zona centro-grave del brano, e poco importa se qualche escursione nel registro acuto ha trovato qualche momento di appannamento, come del resto accadeva – e sistematicamente - anche un mostro sacro come Pippo Di Stefano, che sacro era e tale rimaneva in ogni circostanza.
Del Chingari attore, presentatore, cabarettista abbiamo già detto: egli non ha solo un futuro davanti a sé, ma ha un luminoso presente che gli fa conseguire lusinghieri risultati perché è simpatico, perché ci sa fare, perché sa cosa significa la sapidità dell’accento e perché sa “dare del tu” al pubblico, mettendolo in tasca come e quando vuole, calando i suoi assi a ripetizione, magari in modo a volte un po’…… debordante, con la stessa naturalezza che egli è uso praticare in contesti privati. Ecco, la capacità di Marco Chingari è di farti sentire “in famiglia”, e questa è una sua grande virtù, che lo fa amare dal pubblico perché egli sa regalargli serenità e allegria, distogliendolo dalle preoccupazioni della quotidianità.
Accompagnava magistralmente i cantanti il pianista Giovanni Brollo, raffinato e convincente, un vero artista, che ha onorato il pubblico con un delizioso brano solistico di Ruggero Leoncavallo, “Valse mélancolique”, in cui ha dato un saggio di rara maestria e anche dell’altissimo magistero, purtroppo a volte misconosciuto, dell’autore de I Pagliacci.




















La serata è finita in gloria con le premiazioni alla presenza del sindaco di San Lorenzo di Campo, Davide Dellonti. Quindi, il rush finale con i classici napoletani e romani, tra cui “O sole mio” di Di Capua e “Roma non fa’ la stupida stasera” del grande Trovajoli, col pubblico entusiasta a cantare con Chingari sotto la sua direzione.

(Stefano Gottin)











Foto Ettore Baci



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