lunedì 21 febbraio 2011

Tosca di Puccini - Teatro alla Scala, Milano.

Foto: Brescia Amisano, Teatro alla Scala

Massimo Viazzo

E’ stata la Tosca di Jonas Kaufmann! Il tenore tedesco, dopo una forma influenzale che l’aveva tenuto lontano dalle prime due recite previste, ha debuttato finalmente al Teatro alla Scala nel ruolo di Mario Cavaradossi. E si è trattato di un vero trionfo. Kaufmann oltre a saper stare sul palcoscenico come pochi, sa fraseggiare con musicalità, e soprattutto sa cantare “piano”, dote sempre più rara nel panorama tenorile odierno. Un “E lucevan le stelle” così sfumato, così intimo, ma così ricco di colori, quasi una creazione estemporanea, resta la gemma della serata, una rarità! Ed il successivo attacco di “O dolci mani mansuete e pure” così affettuoso somigliava più ad una carezza… Bravissimo! Meno bene il resto del cast con una Oksana Dyka (Tosca) vocalmente ben impegnata e sostanzialmente precisa, ma carente di accento drammatico e Zeliko Lucic uno Scarpia di carisma non debordante. Ma la delusione maggiore proveniva dalla “buca” orchestrale. Qui, Omer Meir Wellber evidenziava difficoltà a seguire i cantanti (sentire, per esempio,“Recondita armonia” nel primo atto con il direttore israeliano e il tenore bavarese che non si intendevano sul tempo migliore da seguire) e a trovare la giusta tensione narrativa in uno spettacolo, già visto al Met e a Monaco di Baviera, in cui il regista Luc Bondy esaspera qualche situazione – lo sfregio al ritratto dell’Attavanti compiuto nel primo atto da una Tosca “rusticana” sembra eccessivo – in un impianto scenico forse un po’ troppo asciutto e, tutto sommato, anonimo.





S. Lorenzo in Campo (PU) - Teatro Tiberini

Una compagnia di “saltimbanchi” per il SOGNO DI UNA NOTTE DI MEZZA ESTATE
(14 gen. 2011)

Di Giosetta Guerra

Le opere teatrali di Shakespeare sono tra le più rappresentate sia integralmente sia rimaneggiate e riadattate e forse le più difficili da mettere in scena sono proprio le commedie.
Il suo teatro si caratterizza per gli intrighi e per il linguaggio, i dialoghi sono così articolati che non si può perdere neanche una battuta. Si può capire, quindi, quanto sia difficile mantenere la tinta shakespeariana quando si affronta un riadattamento. Tanto più se si tratta di una commedia dalla trama così intricata e con ambienti e costumi così differenziati come Sogno di una notte di mezza estate (scritta alla fine del 1500).
Tre mondi si alternano in questo sogno: quello degli elfi e delle fate, quello degli umani e quello dei sovrani. Gli elfi sono mitici personaggi dei boschi guidati dal re Oberon, le fate sono bellissime fanciulle capeggiate dalla regina Titania; gli umani sono rappresentati da un gruppetto di operai-attori, comici improvvisati, capeggiati da Nick Bottom, che devono mettere in scena, a scopo di lucro, uno spettacolo per le nozze dei nobili Teseo ed Ippolita, che sono appunto i sovrani. In questo contesto si muovono due coppie di innamorati (Ermia-Lisandro ed Elena-Demetrio). Su tutti si libra Puck, un folletto dai molteplici aspetti, che, spremendo il succo magico del fiore vermiglio di Cupido sugli occhi delle persone addormentate, determina gli innamoramenti delle coppie e gioca anche uno scherzo a Bottom che lo fa svegliare con la testa d’asino.
Scene, costumi e luci devono contribuire a restituire la visione onirica di questo intreccio serrato, dove talvolta il sogno è più vero della realtà.

Ebbene tutti questi dettagli sono stati sorvolati dalla Compagnia teatrale La Piccionaia – I Carrara, che hanno fatto una sintesi della commedia shakespeariana Sogno di una notte di mezza estate, puntando sulla storia e non sulla caratterizzazione dei personaggi e degli ambienti.
In una scenografia minimalista i giovani attori, molto bravi nella gestualità, nella gestione del palcoscenico, nelle acrobazie quasi da saltimbanco, hanno prediletto l’aspetto giocoso della commedia, sono stati divertenti e convincenti, ma in pratica hanno rappresentato un’altra commedia, eludendo il colore, il magico, il fantastico, ma soprattutto senza la figura di Puck che è il deus-ex-machina di tutto l’intreccio.
Puck era rappresentato da una fiammella che si accendeva sulle mani di Oberon o di qualunque altro e chi non conosceva già la pièce faceva difficoltà a comprendere la storia.

Nel programma di sala sono elencati gli attori, ma, come spesso capita nei programmi di spettacoli di prosa, manca l’attribuzione dei ruoli. Ecco i nomi: Marco Artusi, Evarossella Biolo, Pierangelo Bordignon, Matteo Cremon, Serena De Blasio, Gianluigi (Igi) Meggiorin, Beatrice Niero; regia Carlo Presotto, Ketti Grunchi.

martedì 1 febbraio 2011

Così fan tutte


Ancona-Teatro delle Muse
COSĺ FAN TUTTE di Mozart
(domenica 23 gennaio 2011)

Nuovo allestimento Fondazione Teatro delle Muse in coproduzione
con Sferisterio Opera Festival, che la proporrà la prossima estate.

Tutto sospeso in un’atmosfera di poesia e d’eterea bellezza.

Di Giosetta Guerra

Un fluttuante telo bianco, al posto del classico sipario, cade tirato giù da Don Alfonso e la scena s’illumina d’immenso. Un’erma spiaggia sospesa tra cielo e mar, sopra un alto scoglio “che da tanta parte dell'ultimo orizzonte il guardo esclude” e lascia pensare a “interminati spazi di là da quello”, è pervasa da un’esplosione di biancore. Da un lato una casa bianca con scala e grande terrazza e un solarium al piano superiore, dall’altro un moscone di legno bianco. “Mirando” la suggestiva scena, “sovrumani silenzi e profondissima quïete io nel pensier mi fingo, ove per poco il cor non si spaura” e “naufragar m'è dolce in questo mare” di luce. (Leopardi: L’Infinito).
Sulla morbida coltre sabbiosa due giovani baldanzosi, Guglielmo (amante di Fiordiligi) e Ferrando (amante di Dorabella), corrono, saltano, si denudano, si distendono, fanno ginnastica, leggono il giornale, agilmente si arrampicano sugli scogli e sulla ringhiera nera del terrazzo. Compostamente si fa avanti Don Alfonso con un ombrello rosso in mano. Gli uomini hanno il codino, abiti d’epoca chiari e un cappello a tre punte. Le tre grandi porte-finestre si spalancano sulla terrazza e ne escono le due sorelle Dorabella e Fiodiligi (asciugandosi con l’asciugamano i lunghi capelli neri), con leggeri abiti bianchi lunghi stile impero e la cameriera Despina con un grembiule grigio sopra un vestito color sabbia. I quattro amanti sprizzano freschezza e trasgressione da tutti i pori: si baciano per le scale, sulla spiaggia, simulano amplessi, si abbracciano e, quando lo fanno a coppie ravvicinate, spesso le mani di ognuno diventano troppo lunghe per toccatine furtive dell’altra amante. Dopo la partenza (finta) dei due maschietti per la guerra, le due donne si vestono a lutto (bellissimi abiti neri lunghi della stessa foggia, con corpetto rifinito in vita con grandi becchi a centine, profilato in bianco quello di Dorabella) e si coprono capo e viso con grandi veli neri. Ma poi indossano bellissimi abiti da sposa bianchi per andare a nozze coi nuovi amori. I giovani sono scalzi, il vecchio no.
Niente servitori in scena e anche il coro non è fisicamente presente. Per aumentare la quasi immaterialità di questo allestimento (tutto è morbido, la sabbia annulla i rumori, i piedi scalzi), il flusso sonoro del bravo Coro Bellini, preparato da David Crescenzi, giunge da fuori campo.
Pier Luigi Pizzi, ideatore di regia, scene, costumi, gioca di finezza nella cura dei dettagli e accentua con estremo garbo la comicità (Dorabella in nero si butta dietro le spalle il ciondolo di Ferrando per far posto a quello del nuovo amante, poi si rintana con lui e riesce in abito bianco-il lutto è finito; Fiordiligi pure si rintana col nuovo arrivato, torna fuori scarmigliata ma ancora in nero perché è andata in bianco); Pizzi rispetta la geometria musicale con la simmetria a volte speculare delle coppie nelle scene d’insieme. Regia squisita, scenografia originale e luminosissima, costumi di un’eleganza sobria e raffinata: una delicatezza sublime pervade la scena, anche nei quadretti spiritosi. Bravo Pizzi. Bravo anche Vincenzo Ramponi, autore delle luci.
Così fan tutte, l’opera mozartiana destinata ai palati più fini, presenta una nutrita tavolozza di colori, per delineare un groviglio indistinto di sentimenti contrastanti provati dai personaggi nell’arco di un sola giornata ricca di imprevisti. Il libretto scritto con accuratezza da Da Ponte punta il dito contro le donne, ma oggi ci fa sorridere, la musica di Mozart è raffinata e di assoluta bellezza, a volte impalpabile, a volte sottilmente ironica o burlesca (caratteri determinati dalle voci degli strumenti), è ricca di melodie ben strutturate, incantevoli concertati, duetti, terzetti, quartetti, quintetti, sestetti, con una linea musicale dolcissima a sostegno della lunghezza e della lentezza della narrazione.
Con garbo e discrezione, l’Orchestra Filarmonica Marchigiana, vanto della nostra Regione per l’alto livello raggiunto, riesce a mantenere costante quell’aura leggera e amorosa della musica mozartiana, che non sfugge all’attenzione del bravo direttore Daniel Kawka, il quale, oltre a rispettare la leggera filigrana del tessuto strumentale, dà rilievo ai differenti timbri strumentali per caratterizzare i personaggi: l’oboe, dal timbro nasale, per il vecchio e cinico Don Alfonso, i clarinetti sensuali e voluttuosi per le due donne disposte all’avventura, i violini e le viole per i sospiri e i singhiozzi (penetrante la lievissima brezza dei violini nel canto dell’addio agli amanti delle due donne), i flauti e i fagotti per le pene e gli affanni e i corni (bravissimi) per i richiami scherzosi.
Le convenzioni dell’opera buffa e quelle dell’opera seria si ritrovano nel carattere dei protagonisti: Fiordiligi e Ferrando sono figli dell’opera seria, agli altri è riservato un linguaggio musicale più vicino alla tradizione comica. Le difficili e arcinote arie solistiche, parodie del grande stile tragico, assolutamente scoperte, richiedono doti vocali e stile ineccepibili. Comunque l’opera, imbastita più sui pezzi d’insieme che sui pezzi chiusi, va considerata globalmente.
Nell’allestimento anconetano le voci sono affiatatissime e melodiose, restituiscono un’atmosfera costantemente sospesa, tuttavia le voci femminili prevalgono per qualità su quelle maschili.
Le due sorelle agiscono e cantano quasi sempre in tandem incantevoli duetti o si sostengono psicologicamente nei preziosi quartetti coi due giovani amanti o negli intriganti sestetti, ma hanno anche delle arie di rara bellezza. I quattro cantano spesso distesi.
Il soprano Carmela Remigio è una Fiordiligi fresca e sentimentale. La voce è bella, il suono rotondo, la dizione corretta, l’emissione accurata nei giochi chiaroscurali, nelle ascensioni fiorite, nel canto sfumato e di coloratura, incisiva nell’accento, agile e timbrata negli sbalzi, presenta estensione del registro vocale, melodiosa linea di canto e facilità a piegare la sua splendida voce di soprano alle leggiadrie del canto mozartiano.
Nell’aria del primo atto “Come scoglio” affronta molto bene gli affondi morbidi, gli squilli, la varietà delle dinamiche, anche se la voce non ha il peso e la duttilità di quella di Margaret Price, che sto ascoltando ora alla Barcaccia nella commemorazione della sua scomparsa.
Nel duetto con Ferrando dell’atto secondo “Fra gli amplessi”, lei è luminosa e pulita, lui canta molto bene con fantastici piegamenti della voce ma con un suono piuttosto schiacciato.
Nell’aria del secondo atto “Ei parte”, accompagnato dalla voce calda del corno, esprime i tormenti della sua situazione con un intenso canto a mezza voce, acuti luminosi, lunghi trilli con messa di voce, suoni armoniosi, emissione fluida. Brava.
Il mezzosoprano georgiano Katevan Kemoklidze, molto musicale nella parte della spigliata e volubile Dorabella, sfoggia un consistente corpo vocale con giusti appoggi nella zona grave, bel colore, emissione sicura ed accento incisivo. Nell’allegro agitato dell’aria del 1° atto “Smanie implacabili” la voce è vibrante e presenta sonorità ricche. Nell’aria del 2° atto “È amore un ladroncello” il suono si fa morbido e sensuale, la voce piena e screziata, molto mozartiana, si arricchisce di colori e di armonici.
Il soprano napoletano Giacinta Nicotra delinea una Despina sfiziosa, come la musica stessa richiede, un personaggio multiforme e attratto dall’ “idea di quel metallo”. Ha una bella voce di soprano brillante, limpida ed acuta, fresca e scintillante, corretta messa di voce ed appropriata verve scenica.
Il tenore palermitano Paolo Fanale affronta con buona tecnica l’ardua tessitura del sentimentale Ferrando, fraseggia con delicatezza e conosce l’uso delle mezze voci, sa accentare con vigore, alleggerire e sfumare il suono in soavi filati. Affronta l’aria “Un’aura amorosa” con le dovute morbidezze e graduali espansioni acute e discese alle note basse e la cavatina “Tradito, schernito” con bella cavata e buona tenuta del suono, ma la voce appare sempre stranamente impastata e con risonanze nasali poco piacevoli.
Nel ruolo del pratico e baldanzoso Guglielmo, l’austriaco Markus Werba esibisce una voce di baritono chiaro, ma di buon peso e intonazione non sempre perfetta. Affronta l’aria “Donne mie la fate a tanti” (A. II sc. VIII) (ricorda l’aria di Leporello “Voglio fare il gentiluomo”) con dinamismo vocale e gestuale, timbro non bellissimo ma buona tecnica.
Don Alfonso è interpretato con precisione nel canto e nel gesto dal baritono inglese William Shimell, che vanta un bel colore brunito e un notevole peso vocale da perfezionare nella gestione e nello stile che è poco rifinito, da perfezionare anche la dizione.
Uno spettacolo ben fatto.