giovedì 15 dicembre 2011



Fano Teatro della Fortuna

Nabucco di Giuseppe Verdi

(10 dicembre 2011)

Di Giosetta Guerra


Nel 150° anniversario dell’Unità d’Italia il Teatro della Fortuna di Fano apre la stagione operistica con Nabucco di Giuseppe Verdi, un’opera corale che più di ogni altra riassume lo spirito risorgimentale.

L’Orchestra Sinfonica Rossini, diretta da Roberto Parmeggiani, apre con l’Inno di Mameli, poi si addentra nella lunga ouverture tenendo inizialmente tempi piuttosto lenti. Si apre il sipario su una scala bianca che occupa totalmente e amplia otticamente lo spazio del palcoscenico, dilatato verso la platea con una passerella attorno alla fossa mistica. Colpisce subito il biancore assoluto creato dalle masse corali con tuniche bianche, bianco su bianco, reso ancor più vivido dal contrasto col fondale arancione illuminato dal basso. Per tutta l’opera il Coro, distribuito sulla scala, sul proscenio, sulla passerella, in piedi, inginocchiato, raggruppato, fermo o in movimento, in piena luce o in penombra, con i bianchi sparati o ammorbiditi dal gioco delle luci, disegna figure flessuose dando vita a quadri di grande morbidezza. Lo stile di Massimo Gasparon, autore di scene, costumi (sempre magnifici) e luci, emerge in tutta la sua armonia ed eleganza, senza ricorrere a scene complicate e costose. Solo piccoli moduli vengono inseriti ogni tanto sulla scala per creare podi su cui posizionare artisti o elementi simbolici, come un menorah, candelabro ebreo a sette braccia, l'idolo di Belo e un trono dorato;

per la nota pagina corale “Va pensiero” il regista fa sedere i coristi tutti bianchi sulla passerella attorno all’orchestra buia, quasi a stringerla nella cupa morsa della tristezza.

Il colore degli abiti è coprotagonista: bianco per il popolo ebreo, blu per gli assiri, giallo, azzurro, bordò, oro per i ruoli principali.

Bellissimi e luminosi i costumi “plissé” delle due donne protagoniste.

Non ci sono le danze.

Dal punto di vista vocale la partitura è particolarmente insidiosa, ogni interprete deve raggiungere il limite massimo delle sue capacità sia naturali che tecniche.

Nell’edizione fanese domina la figura di Zaccaria (in tunica bianca), interpretato dal basso Michele Pertusi, un artista completo, dalla presenza scenica autorevole ma non invadente, dalle qualità vocali di preziosa lega, fatta di bel colore caldo, suono ampio e maestoso, qualità gestite con un’alta tecnica d’emissione (canto sul fiato, uso della messa di voce e del canto sfumato, appoggio e tenuta del suono), che gli permette una padronanza assoluta dei vari registri, una linea di canto morbida ed omogenea, un fraseggio accurato, un modo di porgere incisivo nell’accento e accattivante nella comunicativa con perfetta resa della parola scenica e valorizzazione dei dettagli.

Ismaele (in tunica bianca e piedi scalzi) è Luca Canonici che giunge dalla platea correndo; il tenore, padrone del canto sfumato e del canto appassionato, porge con bell’accento una voce limpida e di bel timbro, alternando fraseggi dolci a momenti vigorosi e acuti luminosi.

Il baritono Giovanni Meoni canta sul fiato e modula bene una voce dal bel timbro piuttosto chiaro, estesa e pulita, ben proiettata con lunghi fiati, bel legato, accento incisivo, emissione fluida, attacchi sul fiato, suoni ben tenuti, ma manca d’imperio nel tratteggiare il carattere di Nabucco.

Il soprano Paoletta Marrocu è coraggiosa ad affrontare la terrificante scrittura musicale violenta e lanciata riservata ad Abigaille, primo autentico soprano drammatico di agilità, che richiede notevole spessore e ricchezza vocale, tenuta nel registro grave, duttilità, estensione e sostegno del fiato per eseguire sia il canto di forza sia quello di coloratura, qualità che la Marrocu possiede in parte. La sua voce è bella, la grana è densa e vibrante nei centri, ma gli acuti sono taglienti e sparati, il soprano esegue gli sbalzi d’ottava e gli affondi ma si sente il passaggio al grave che è di petto, la linea di canto è poco omogenea perché, a mio avviso, il ruolo è troppo pesante per lei. Brava nella scena della morte.

Agata Bienkowska Fenena ha un bel modo di porgere, ma i mezzi vocali non sono eccelsi e così la dizione.

La liricità di questo grande affresco corale trova la sua ottimizzazione nel Coro del Teatro della Fortuna Mezio Agostini preparato da Lorenzo Bizzarri, la cui sonorità riempie il teatro, l’amalgama è pieno e compatto nelle pagine più vigorose e ripiega su dinamiche morbide e sfumate nelle pagine di maggior raccoglimento.

Roberto Parmeggiani, sul podio dell’ Orchestra Sinfonica Rossini, coglie l’efficacia drammatica di questa musica vibrante di spiriti risorgimentali e la sviluppa con movimenti e sonorità a volte incalzanti, a volte morbidi e discreti.

Bel successo.

giovedì 8 dicembre 2011


Cremona-Teatro Ponchielli

Roméo et Juliette di Gounod

(18 nov. 2011)

Dieci e lode alla Juliette di Serena Gamberoni.

Di Giosetta Guerra

A una giovane donna dalla pelle diafana, occhi azzurri, lunghi capelli neri e dalla voce d’angelo certamente chiedereste: “Ma tu sei Giulietta?” E lei vi risponderebbe: “Oui, je suis Juliette”.

Al Teatro Ponchielli di Cremona Juliette, figlia di Capuleti, è Serena Gamberoni, sempre vestita di bianco. L’artista unisce “le physique du rôle” a un mezzo vocale limpido, luminoso, fresco, esteso, duttile nei trilli, scintillante negli acuti, il suono è melodiosissimo nelle mezze voci e nel canto a fior di labbra, fulminante negli slanci acutissimi (“Amour, rianime mon courage”); nella nota arietta “Je veux vivre” la voce si apre e si amplia nelle strepitose progressioni acute, poi si alleggerisce fino al sussurro; dopo aver baciato Romeo il canto s’arricchisce di sfumature. Il soprano porge bene, conosce l’arte del canto sul fiato e la tecnica dell’emissione morbida e vive l’amore e il dramma con intenso trasporto emotivo.

Un suggestivo il fil di voce emesso in posizione supina la rende sublime nella scena della morte accompagnata da una musica straziante.

Roméo, figlio di Montecchi, è Jean-François Borras

che, naturellement, ha una buona pronuncia francese. Il tenore ha voce chiara, estesa, con vibrato, una voce resistente che si spiega luminosa in zona acuta dove raggiunge alte tessiture (“Je veux la revoir”), anche se si sente il passaggio di registro, padroneggia il canto spiegato di forza con squillo eroico e voce tesa, sa ammorbidire e tenere lunghi suoni, ma a volte la voce non regge il canto a fior di labbra; deve perfezionare la linea di canto e l’emissione.

Park Taiwan (Capulet, padre di Giulietta)

ha voce cupa di basso, estesa, poco ferma e poco gradevole, senza gravi e senza spessore.

Mihail Dogotari (Mercutio amico di Romeo ) è un bravo baritono con voce timbrata e sonora e Saverio Fiore (Tybalt nipote di Capuleti) è un tenore deciso con voce di bel timbro. Il basso Abramo Rosalen (Frère Laurent) ha voce ampia e timbrata con buoni gravi. Il mezzosoprano en travesti Silvia Regazzo (Stéphano, paggio di Romeo) gestisce bene una voce estesa e di bel timbro. Carlo Di Cristoforo (le Duc de Vérone) è un basso dal bel colore vocale.

Il mezzosoprano Nadiya Petrenko è Gertrude, balia di Giulietta, il baritono Francesco Masinu è Paris, il baritono Romano Dalzovo è Gregorio, servitore dei Capuleti, il tenore Marco Voleri è Benvolio, amico di Romeo.

L’allestimento del regista-scenografo Andrea Cigni è atemporale perché una storia d’amore non ha età, infatti noi l’abbiamo sentita molto vicina anche grazie agli atteggiamenti e alle effusioni degli artisti molto più consoni alla fisicità dei nostri tempi, ma anche grazie ai costumi contemporanei di Massimo Poli. La scena fissa è costituita di uno spazio che si modifica col gioco delle luci prevalentemente blu (light designer Fiammetta Baldisserri), i rari arredi sono simbolici, come il letto insanguinato sospeso in aria all’inizio, calato a terra nelle scene d’amore e di morte, circondato di candele quando diventa il letto funebre di Juliette.

Pagine liriche di infinita dolcezza, romantiche e melodiose, trovano la loro espressione nella brava Orchestra Lirica I Pomeriggi Musicali diretta da Michael Balke, che conferisce densità e drammaticità al tessuto sonoro nelle scene più forti.

I Capuleti vestiti di bianco e i Montecchi di nero sono impersonati dal fantastico Coro del Circuito Lirico Lombardo, inizialmente disposto su una balconata e poi portato in scena alla West Side Story per la lotta tra le due fazioni; i coristi, preparati da Antonio Greco cantano con espressività e hanno un bel modo di porgere e di amalgamare il suono.

Il pubblico ha risposto con calorosi applausi.

lunedì 5 dicembre 2011

RIGOLETTO DI VERDI

Jesi Teatro Pergolesi

Rigoletto di Verdi

Le roi s’amuse… e i giovani artisti emozionano

(27 nov. 2011)

Di Giosetta Guerra

La scenografia, ideata da Massimo Gasparon per l’Arena Sferisterio di Macerata, posta sul palcoscenico del Teatro Pergolesi di Jesi, annulla la profondità degli

ambienti, ma crea maggior intimità. Il modulo architettonico girevole con affreschi del Tiepolo sulla prima faccia, un grande portale in pietra bianca sulla seconda e una facciata lignea con scala sulla terza, delinea i luoghi della vicenda, che il regista Gasparon fa svolgere durante il carnevale di Venezia, riportandone fantasmagoria e magnificenza nello scintillante cromatismo dei bellissimi costumi da lui ideati e nell’armoniosa distribuzione delle masse.

Il cast, formato da giovani all’altezza dei ruoli, era sostenuto da un’orchestra sempre presente ma mai invadente. Strappi orchestrali deflagranti col ghigno degli archi sottolineano la vestizione a vista di Rigoletto, presentato con la maschera e il costume di Pulcinella, un ritmo di danza accompagna l’ingresso di un popolo festante e l’organizzazione dello scherzo del rapimento, poi l’orchestra tuona sulla maledizione di Monterone ed esprime col languore degli archi le paure di Rigoletto, mantiene la tensione emotiva con suono discreto e tempi morbidi nel duetto di Gilda col padre, disegna un ricamo nella supplica di Rigoletto a Marullo sottolineata dal pianto dei violini, incalza nella promessa della vendetta; il flusso sonoro è percorso da brividi nella discussione tra Sparafucile e sua sorella, per esplodere fortissimo e inquietante sotto il grido disperato di Gilda che ha sentito tutto e tornare teso e sinistro in finale. L’Orchestra Filarmonica Marchigiana era diretta dal bravo maestro Giampaolo Maria Bisanti.

La rivelazione della serata è stata per me il giovane baritono Simone Piazzola. Dotato di bella cavata di voce, imponente ma non pesante, di grande volume ed estensione e ricca di colori, il baritono ha cantato in maschera con suoni alti, rotondi e ben proiettati, facendo uso della messa di voce con fiati sospesi e tenuti, ha eseguito bene sia il canto a fior di labbra che quello irruento a voce piena, mantenendo una linea di canto morbidissima specialmente nei duetti con Gilda.

Scenicamente credibile per il gesto e l’interpretazione intensa, lo era un po’ meno per l’aspetto troppo giovane.

Ci ha convinto in corso d’opera anche la Gilda della giovanissima Irina Dubroskaya, che, dopo un inizio un po’ in sordina e con dizione poco chiara, ha fatto sfoggio di una vocalità limpida, agile, primaverile, di trilli tenuti, di acuti trasparenti e luminosi, di emissione fluida e di canto in maschera, l’aria Caro nome” è stata cantata benissimo, col cuore, con modulazioni sensibilissime e con le dinamiche vocali richieste e nel duetto “Tutte le feste al tempio”, oltre al bel legato e alla buona tecnica di canto, è emersa la varietà dei cristalli della sua voce.


Nel ruolo del Duca di Mantova Shalva Mukeria ha elargito con generosità una voce chiara, estesa e solida, dallo squillo sicuro (“Questa o quella”); il suono, piuttosto rigido perché nasaleggiante nella zona media, si ammorbidisce nel canto a mezza voce e diventa luminoso quando passa al registro acuto, il tenore porge con vigore e potenza una voce dagli acuti taglienti e sovracuti svettanti sopra un’orchestra pompante nel rapimento di Gilda (“Ella mi fu rapita”, “Possente amor mi chiama”), l’accento è incisivo e la dizione chiara; la padronanza scenica e la facilità d’emissione conferiscono credibilità e comunicativa al personaggio.

Il basso Eugeniy Stanimirov Iossifov, nel ruolo di Sparafucile, ha esibito bella voce scura, morbida, con gravi consistenti e tenuti a lungo; Pasquale Amato come Monterone ha un mezzo vocale scuro ampio e sonoro; Saverio Pugliese (Matteo Borsa) è un tenore chiaro.

Veronica Senserini (Giovanna) ha usato bene una voce dai suoni scuri, rotondi e tenuti; il mezzosoprano Alessandra Palomba (Maddalena) ha cantato con voce offuscata senza spessore né volume; debolino è risultato il soprano Miriam Artiaco nel ruolo della Contessa di Ceprano.

Gli altri: i baritoni Mirko Quarello (Marullo) e Marian Reste (Il Conte di Ceprano) e il soprano Bianca Tognocchi (un paggio della Duchessa).

Bravo scenicamente e vocalmente il Coro Lirico Marchigiano “V. Bellini”, ben preparato e diretto da David Crescenzi.

Curiosità

Il Duca di Mantova fu un ruolo caro anche al tenore marchigiano Mario Tiberini che lo debuttò nelle Antille nel 1855 e lo interpretò in America tra il 1855 e il 1857, lo cantò poi a Barcellona (1859) con Angiolina Ortolani che sposò nello stesso anno, a Napoli (1861-62), a Firenze (1862), a Madrid (1868-69). “Il tenore, accattivante nei pezzi di grazia e di sentimento, nei pezzi di forza ha trovato il modo di farsi applaudire senza far spreco inutile di voce”.

mercoledì 30 novembre 2011


UN CONCERTO STELLARE ORGANIZZATO DA PARMA LIRICA













Il trionfo di Dimitra Theodossiou
(Parma 25 nov. 2011)

Di Giosetta Guerra
La regina del melodramma italiano ha tenuto un altro concerto di beneficenza nella città di Parma presso l’auditorium di Parma lirica per il quarantennale del circolo culturale. Come i grandi cantanti dell’800 si prodigavano in Beneficiate a favore della causa italiana, così Dimitra Theodossiou offre la sua arte a beneficio di varie associazioni liriche ed umanitarie. Onore al merito.

La sera del 25 novembre 2011 l’auditorium era gremito di gente, che ha osannato la divina ad ogni sua aria, cantata con tutti i colori richiesti dalla scrittura musicale e interpretata con tutte le sfaccettature richieste dal personaggio. Un’intensa Leonora, una struggente Desdemona, una coinvolgente Lina, una penetrante Aida, una bieca Lady Macbeth, una dolce Mimì sono sfilate in palcoscenico con la voce e il gesto di Dimitra Theodossiou, accompagnata al pianoforte dal suo inseparabile maestro Simone Savina.
Il concerto ha inizio con l’attacco morbido di “Pace, pace” da La Forza del destino di Verdi, agganciato alle inquietanti note introduttive del pianoforte, che mantiene poi un tessuto sonoro delicato sotto l’espressività del canto, l’intensità vocale del soprano cresce sul tocco denso del pianista, si dissolve in un filato ed esplode come un fulmine nella Maledizione.
Nella lunghissima “Ave Maria” dall’Otello di Verdi, che tocca tutti i registri, gli attacchi in pianissimo, il fraseggio icastico, i filati rinforzati, gli slanci improvvisi nelle zone più impervie, uniti alla coscienza melodrammatica dell’artista fanno di Dimitra Theodossiou una Desdemona di riferimento. Tutti ne siamo rimasti coinvolti; anche il pianista, cui sono riservati brani di collegamento di struggente bellezza, ha accompagnato il canto con una sorta di devozione fino a suonare ad occhi chiusi la nota acuta che sostiene il lungo filato finale della preghiera.
L’aria di Lina “A gli scranni eterei” da Stiffelio di Verdi, opera che Dimitra debutterà prossimamente al Regio di Parma, inizia con una pagina pianistica molto intensa con note gravi, trilli, crescendo in fortissimo che si scioglie in morbidi suoni, le mani del Savina danno vita ad una sinfonia aerea che ammorbidisce un canto di dolore, interpretato dalla Theodossiou con padronanza della parola scenica, con l’iride dei colori della sua bellissima voce, spinta verso ardue tessiture e ripiegata su lunghi filati densi di armonici.
Un’esplosione di luce esce dal pianoforte all’apertura dell’aria di Aida “Ritorna vincitor”, nella quale i fortissimi di Dimitra si alternano col canto a fior di labbra sul tocco sfiorato del Savina.
Poi, preannunciata dal tocco violento e lacerante del pianista, entra la Lady, come in trance; con un canto misto di violenza e di dolcezza, con frasi quasi parlate, affondi gravi e voce sparata all’estremo in puntature acute fulminanti sostenute dal vigore del tocco pianistico, la Theodossiou esprime la follia della lady Macbeth nella notissima aria “La luce langue”, bissata a furor di popolo.

La voce della Theodossiou torna melodiosa e struggente nel bis “Sì, mi chiamano Mi” da La Bohème di Puccini ed è un crescendo di emozione che si spiega e si dilata dalla frase Ma quando vien lo sgelo” in poi. Sublime.
Nel corso della serata la Theodossiou si è alternata col baritono Maurizio Leoni che si è fatto apprezzare per il mezzo vocale e per l’interpretazione: una grande voce robusta ed estesa usata con morbidezza nella scena e morte di Rodrigo (Don Carlo di Verdi) e con irruenza in “Eri tu” da Un Ballo in Maschera, con suoni rotondi, ben proiettati e ricchi di vibrazioni sopra il tocco ora luminoso, ora morbido, ora variegato, ora possente del pianista, il quale trasmette anche la violenza e il dolore di Rigoletto nell’invettiva “Cortigiani vil razza dannata”, interpretata dal baritono con una varietà di colori e d’intensità, e scava nell’anima di Macbeth con lanci vigorosi e trilli a sostegno di una voce di notevole spessore e dei lunghi fiati del baritono nell’aria “Pietà, rispetto, amore”, fino a ricamare trine preziose nell’aria della morte di Don Quichotte di Jacques Ibert “Ne pleure pas, Sancho”, che Leoni ha proposto come bis con la tecnica del canto sfumato e della messa di voce.
Poi i duetti del soprano col baritono. Chiude la prima parte il duetto infuocato Conte-Leonora “Udiste” con cabaletta da Il Trovatore di Verdi, duetto che mette a confronto la potenza vocale dei due cantanti mentre le mani di Simone Savina corrono sulla tastiera con un ritmo incalzante e i trilli e gli acuti iperbolici del soprano sono sostenuti dai fuochi d’artificio del pianoforte. A chiusura della seconda parte il duetto di grande presa emotiva Macbeth-Lady “Regna il sonno su tutti” presenta una Lady dallo sguardo spiritato che canta a fior di labbro sopra il trillo del pianoforte e un re con l’angoscia nella voce sottolineata dalla varietà dei colori del suono pianistico.
Grande cantante e grande attrice, quindi artista di genio e d’ispirazione, Dimitra Theodossiou non disgiunge l’arte del canto da quella del palcoscenico, non trascura nulla del personaggio, ogni frase, ogni accento, ogni gesto giunge a scuotere le fibre
dello spettatore e a entrare nella sua anima; l’ammirazione cresce ogni volta che la si ascolta, perché il suo è un canto ispirato, fatto di finezze rarissime, di fraseggio squisito, d’incisività d’accento, di cesello della voce, è un’artista che nulla trova di arduo e d’insuperabile e che raggiunge l’eccellenza dell’arte. I suoi concerti sono un susseguirsi di scene d’opera, anche con i dovuti cambi d’abito.
E la voce? Dio mio, che voce! Ti dirò dei colori: ve ne sono a mille a mille; ti dirò della potenza: incredibile; ti dirò dell’estensione: strabiliante; ti dirò dei suoi acuti: lancinanti; ti dirò dei suoi filati: penetranti; ti dirò dei suoi affondi: inquietanti.
E gli occhi? Espressione vibrante dell’innocenza di Desdemona e dell’ingenuità di Mimì, diventano torvi nella follia della Lady e tornano al sorriso, quando il pubblico, impazzito, l’acclama in standing ovation.
E che dire del Maestro accompagnatore?
Dal pianoforte escono le sfumature e le dinamiche del suono grazie al tocco sensibile e all’estro raffinato di Simone Savina, che, concentrato sul suo strumento, è sostegno e complice discreto del cantante nel trasformare in emozioni le intenzioni musicali; l’artista rifugge da gesti plateali, ma basta notare il lancio, la flessibilità e la libertà delle sue dita, la leggerezza e la potenza del tocco nell’alternanza di accenti deboli e forti, le significative pause sotto i filati adamantini e lunari del soprano, la mano che a volte si solleva quasi a dirigere il canto, il fremito del capo, gli occhi che si chiudono nei momenti più sublimi, per capire come la musica percorra il suo essere e lo renda prezioso interprete del discorso musicale, esposto in prima linea nei collegamenti melodici solistici.
Ha presentato brani e artisti Patrizia Monteverdi.

sabato 26 novembre 2011

La Bohème a Fidenza


FIDENZA TEATRO MAGNANI


“LA BOHÈME” IN UNA SOFFITTA DI LUSSO

(Venerdì 11 novembre 2011)

Di Giosetta Guerra

Varcata la soglia d’ingresso alla platea del Teatro Magnani di Fidenza, ti trovi in un teatro di tradizione elegante e armonioso, ma l’occhio è attratto dal particolare palcoscenico costituito da una sala molto grande magnificamente affrescata.

È la stupenda camera acustica le cui pareti sono tele dipinte da Girolamo Magnani, uno dei più grandi scenografi dell’Ottocento, recentemente restaurate e lì poste alla visione del pubblico.

Ebbene in questo prezioso ambiente si svolge la vicenda dei bohémiens, che, se non hanno legna da ardere, possono riscaldare l’anima con la vista dell’arte. Ovviamente non ci sono i tetti di Parigi né le insegne del Café Momus né gli sbarramenti della barrière d’enfer, ma solo alcuni elementi che ricordano a chi già lo sa dove sono ambientati i quattro quadri dell’opera.

Il regista Riccardo Canessa, per non coprire questa bellissima scenografia naturale, immagina che quella sia la stanza di casa Puccini dove il maestro in persona prova l’allestimento della sua Bohème; qui arrivano i cantanti già in costume fine ottocento ideati da Artemio Cabassi (brutti quelli delle due donne, migliori quelli maschili), qui Puccini, impersonato dallo stesso regista, in piedi o seduto al pianoforte li controlla e qui ha inizio la prova e, ovviamente, l’opera per noi.

I quattro bohémiens si muovono a loro agio, sono giovani, baldanzosi e pieni di speranze. Fra loro si distingue Gianfranco Montresor (Marcello) per un bel mezzo vocale, solido, esteso, timbrato, robusto, pulito, per la rotondità e la morbidezza del suono, per la naturalezza e la fluidità d’emissione senza forzature neanche nel canto a voce piena, per l’accattivante modo di porgere una voce calda e una fascinosa presenza scenica (quando apre le braccia sembra abbracciare il mondo).

Nel ruolo di Rodolfo il giovane tenore Paolo Fanale ha le physique du rôle, squillo robusto e lunghi fiati sostenuti, la voce poco pulita in zona centrale è luminosa in zona acuta, ma gestita quasi sempre sul forte, eludendo la tinta pucciniana, che ritorna quando la voce si adagia nella morbidezza del canto. Pietro Toscano (Colline) deve mettere a fuoco un mezzo vocale di bel colore scuro, l’interpretazione superficiale di “Vecchia zimarra” è aggravata da una dizione incomprensibile. Donato Di Gioia (Schaunard) ha voce baritonale dal suono deciso e sonoro e Romano Franceschetto nel ruolo caricaturale di Benoit esibisce bella voce ferma e di spessore, mentre il regista Riccardo Canessa, registrato nella locandina col cognome materno (Riccardo Carloni), si presenta nei panni di Alcindoro.

Non è riportato il nome del tenore chiaro acuto che veste i panni di Parpignol.

E veniamo alle donne. Il soprano lirico Daria Masiero è una Mimì in carne piena di energia. Canta per lo più a voce spiegata, ancheSì, mi chiamano Mimì”, comunque va apprezzata la sua grande voce che diventa melodiosa quando si alleggerisce e si piega alla dolcezza del canto a fior di labbro (“Fingevo di dormire). Alla fine è la musica di Puccini che emoziona. Roberta Canzian (Musetta) ha voce melodiosa, duttile, estesa e brillante e canta molto bene “Quando me n’ vo”.

Per lo più schierati in palcoscenico, il Coro dell’Opera di Parma e il Coro di Voci Bianche della Corale Verdi, ben preparati e diretti da Emiliano Esposito e da Beniamina Carretta, completano la parte vocale.

Non sempre appropriato il disegno luci che restano chiare quando si spengono le candele in soffitta. Il M° Fabrizio Cassi dirige con proprietà l’Orchestra Filarmonica Terre Verdiane, fuori campo la Banda Città di Fidenza "G. Baroni" diretta da Saverio Settembrino.

Assistente alla regia P. Luigi Cassano, Maestro preparatore Simone Savina.

Organizzato dal Gruppo di Promozione Musicale Tullio Marchetti presieduto da Antonio Delnevo, l’evento si inserisce nelle manifestazioni per il 150° Anniversario del Teatro Magnani e per la mostra al pubblico di queste tele restaurate, ma è anche una lodevole iniziativa per la formazione del pubblico locale.

lunedì 21 novembre 2011



Parma

Auditorium del Carmine





Grande Concerto d’Autunno

(sabato 12 novembre 2011 ore 18)

Di Giosetta Guerra

Il suono morbido e scandito del pianoforte precede il canto e diventa più intenso col crescere dell’enfasi vocale, a volte lo strumento tace per lasciare spazio alla voce: è “Una furtiva lagrima” da L’Elisir d’amore di Donizetti, cantata dal tenore georgiano Shalva Mukeria con suoni sostenuti che si dissolvono in filati in tessitura acuta, accompagnato al pianoforte dal maestro Simone Savina.

Il tocco tiene il ritmo danzante del grande valzer di Juliette “Je veux vivre” da Roméo et Juliette di Gounod, che il soprano australiano Jessica Pratt attacca con morbidezza per lanciarsi in pirotecniche scale ascendenti e discendenti, suoni rinforzati con la messa di voce, squilli veementi, sostenuti dal suono coinvolgente del pianoforte.

Con la patetica aria di Nemorino e la scintillante aria di Juliette vengono presentati al folto pubblico gli artisti Jessica Pratt, Shalva Mukeria e Simone Savina, protagonisti del Grande Concerto d’Autunno, organizzato e presentato da Paolo Zoppi, presidente e anima degli Amici della Lirica del Cral CariParma.


E da qui è tutto un susseguirsi di arie e duetti di forte impatto e di grande difficoltà virtuosistica.

Shalva Mukeria, dotato di voce chiara ed estesa che elargisce con generosità e padronanza del registro acuto e sovracuto, alterna vigore e canto sfumato in “Spirto gentil “da La Favorita di Donizetti sopra le note sfiorate dal Savina con la delicatezza che parla al cuore, si lancia nella funambolica aria dei nove do “Ah mes amis” da La figlia del reggimento con suoni tesi e taglienti, accompagnato dallo scintillio vigoroso del pianoforte, affronta con grande potenza vocale e precisa dizione “Lunge da lei” da La Traviata di Verdi e con acuti che bucano le orecchie la famosissima canzone del Duca di Mantova “La donna è mobile” da Rigoletto. Il tenore ha una canna vocale robusta e fluente, notevole estensione e tenuta dei fiati, ma dovrebbe affinare la tecnica del canto sul fiato.

Jessica Pratt è una belcantista eccezionale, una virtuosa con doti vocali straordinarie e una tecnica di canto ineccepibile. Nell’aria di grande difficoltà virtuosistica Tandis qu’il sommeille” da La Juive di Halevy, grand opéra francese poco rappresentato, l’emissione a fil di voce è accompagnata dal suono morbido del pianoforte, la melodiosità del canto si sposa con la sensibilità del pianista, il virtuosismo vocale che esplode in sovracuti rompicristallo è sostenuto dal brillio del pianoforte.

Voce e strumento sono entrambi protagonisti della leggerezza funambolica di Rossini nell’ aria di Amenaide dal Tancredi Come dolce all’alma mia”, la Pratt usa con eccellente tecnica un mezzo vocale agilissimo, estesissimo, acutissimo, dal timbro adamantino, Savina fa uscire dai tasti la rocambolesca scrittura rossiniana.

Nella cadenza di Elvira de I Puritani di Bellini O rendetemi la speme” il flusso vocale di struggente bellezza, ornato di filati rinforzati con l’uso della messa di voce, si adagia sul tessuto sonoro discreto e penetrante del pianoforte cha ha spazi solistici molto intensi, nella cabaletta che segue “Vien diletto”, un susseguirsi di virtuosismi e sovracuti strabilianti sostenuti dall’aereo funambolismo del maestro Savina, la Pratt è mostruosamente brava.

Poi ci sono i duetti. Il pianista con suono cadenzato interloquisce con l’intensità vocale e le delicatissime mezze voci rinforzate del soprano e con l’attacco in pianissimo del tenore nel seducente duetto d’amore “Verranno a te sull’aure” da Lucia di Lammermoor di Donizetti che chiude la prima parte del programma e introduce con leggerezza di tocco la fluidità d’emissione della Pratt e gli alleggerimenti di Mukeria nel duetto de La Sonnambula di Bellini “Son geloso del zefiro errante”, che chiude la seconda parte.

Ma non finisce qui.

Dopo tutto questo ben di Dio i bis, annunciati ironicamente da Paolo Zoppi come canzonette del floklore delle loro terre e che invece sono brani di grande difficoltà:

l’impervio e trascinante duetto de I Puritani Vieni tra queste braccia”, cantato con molta foga dal tenore e sostenute progressioni acute, “Pourquoi me reveiller” dal Werther di Massenet col ricamo del pianoforte, “La regina della notte” da Il Flauto magico di Mozart, con la quale il soprano ha scatenato il delirio del pubblico.

Un ringraziamento caloroso quindi a Jessica Pratt, Shalva Mukeria, Simone Savina e ovviamente a Paolo Zoppi che a titolo gratuito hanno messo in piedi una serata di altissimo livello per il piacere di un pubblico osannante ma soprattutto a favore dei bambini con gravi problemi di salute.

L’incasso di 4500 euro, infatti, è stato consegnato in palcoscenico al prof. Izzi, che dirige il Reparto di oncoematologia pediatrica dell’Opedale di Parma.
Dopo il concerto cena alla Corale Verdi con artisti (non tutti purtroppo), organizzatori, giornalisti e simpatizzanti.